Grazie ai contatti all’estero del buon Antonio stasera sono stato a San Sebastian con un autoctono: Xabier. Abbiamo fatto due chiacchiere ma sopratutto siamo stati a mangiare qualche pintxo.
Un pintxo è l’equivalente basco delle tapas spagnole o dei cicheti veneziani: piccoli stuzzichini più o meno complessi, caldi o freddi, spesso messi in bella mostra sui banconi dei bar per invogliare la clientela a mangiarli (ma il trucco è ordinare quelli scritti sulla lavagna, preparati al momento su richiesta).
Il nome deriva dallo spagnolo pinchar, “infilzare”, perché spesso sono tenuti insieme da uno stuzzicadenti.
A San Pedro si limitano a qualche paninetto, delle tortillas di patate o delle olive (ce ne hanno servite con del Martini, una volta). Ma a Donosti è una cosa inusitata per la varietà che si può trovare, c’è pure la app: https://pintxos.es/en/.
Noi in particolare siamo stati “solo” in tre locali e ovviamente ci sono alcuni pintxo che sono tipici di alcuni posti piuttosto che altri.
Il primo bar, di cui ho scordato il nome, ci ha proposto il pintxo della casa (di cui quindi non so il nome, scusate), ovvero uovo cotto a bassa temperatura con crema di tartufo, pancetta soffritta, salsa di funghi e formaggio grattugiato. Il tutto in una ciotola da mescolare bene e poi mangiare con dei crostini di pane. Molto buono, ma forse niente di entusiasmante.
La seconda tappa è stata da Borda Berri (http://pinchables.net/borda-berri/). Non l’ho specificato prima, ma tutti questi posti si trovano nel barrio viejo, il “quartiere vecchio” della città.
Qui non sapevo che scegliere e ho chiesto a Xabier cosa fossero i kallos de bacalao en salsa pil-pil. Mi ha detto di prenderli e che li avrebbe mangiati lui se non mi fossero piaciuti. Sapendo che mi piace il baccalà sono andato abbastanza tranquillo e infatti era buonissimo:
La consistenza dei kallos era quasi gelatinosa, ma non in senso negativo, anzi: morbidissimi si scioglievano in bocca. Cosa sono? Interiora di pesce. La vescica natatoria del baccalà in particolare, a quanto pare (https://justinclegaspi.wordpress.com/tag/fish-maw/).
Terza e ultima tappa, alla Cuchara de San Telmo (http://pinchables.net/la-cuchara-de-san-telmo/). Il nome ovviamente viene dal museo cittadino che ci sta proprio di fianco (cfr. http://acquastanca.eu/2019/02/09/san-telmo/).
Posto molto carino, apparteneva agli stessi proprietari del Borda Berri che si sono poi separati, per questo alcuni dei piatti sul menù si assomigliano. A favore del “Cucchiaio di San Telmo” gioca però il fatto di avere il plateatico coi tavolini fuori (no servizio al tavolo, no coperto), disporre di menù in inglese e essere un pelino fuori dalle vie principali del centro, che la sera possono essere parecchio affollate. Forse con più turisti, ma d’altronde è stato menzionato anche sul New York Times (https://www.nytimes.com/2011/08/07/travel/36-hours-in-san-sebastin-spain.html).
Cosa abbiamo ordinato? Falso risotto (fatto con la pastina orzo, ovvero i nostri “risoni” e orecchio di maiale, croccante e con una crema di lenticchie. Se non pensi a cosa stai mangiando è tutto buonissimo.
La serata è finita presto perché domani si lavora, ma di certo sono tornato a casa sazio (pedalando, per smaltire un po’).
Pioggia: no