Collezione

Avete presente quei pacchi di pasta colorata orribile, con fogge improbabili, che si vendono a cinque euro al pacco a ignari turisti di ogni città famosa d’Italia?

Beh, a quanto pare all’estero c’è la versione “buona”…

Queste sono di Jabi, non mie.

Nomad

Ho trovato un altro canale interessante girando per Youtube, ve lo posto qui sotto. Ovviamente parla di costruzione di barche.

Al di là dell’idea figa per fare una vite con la sega a nastro, ho scelto questo video come esempio del canale per il seguente passaggio (min. 2:01), che mi ha molto divertito:

[This thing] is called ‘book’ and it works just like the Internet but with no wi-fi.

In the back of it there is a thing called ‘index’: It is like Google but with more accurate results.

First plank

Oggi ho messo la mia prima tavola sul San Juan.

Eccola, in tutto il suo bruttore

Che cos’è il San Juan non ve lo sto neanche a spiegare, vi posso però fare una scaletta del lavoro che comporta mettere su una tavola come questa, relativamente piccola (è lunga meno di 4m, alta 25cm e spessa 2,5cm), così vi fate un’idea…

  • Piallare l’ossatura, di modo che la stecca usata per tracciare la linea della tavola abbia una fair line (parola magica, ripetuta all’infinito, che indica una linea “bella, pulita”)
  • Fare una sagoma che riporti lunghezza e larghezza della tavola da preparare
  • Cercare una tavola con forma e dimensioni idonee nei mucchi di legna che ci sono qua fuori. Le buone ormai sono quelle sotto mucchi di altra roba…
  • Passarla nella pialla a spessore fino a portarla alla misura voluta
  • Appoggiarci la sagoma preparata in precedenza e fare in modo che ci stia tutta, evitando l’alburno. Se possibile evitare brutti nodi, crepe e altre imperfezioni del legno
  • Tracciare le linee di taglio
  • Tagliare con la sega circolare lungo la lunghezza, sopra e sotto
  • Tagliare uno dei due lati corti, ma lasciare l’altro con del margine, per sicurezza
  • Salire sul San Juan e presentare la tavola per controllare che ci stia
  • Tagliare anche l’altro lato
  • Smussare con la pialla a mano i lati che toccano le altre tavole, per agevolare il calafataggio futuro
  • Rivestire di pece tutte le parti della struttura della nave dove appoggerà la tavola. Sul cintón (in italiano come si dirà?) ci va messo anche il filo di cotone del calafataggio perché non sarà possibile farlo dopo
  • Mettere in sede la tavola, fermandola con i morsetti
  • Segnare dove si vuole che cadano i chiodi
  • Scolpire con lo scalpelli i buchi triangolari che accoglieranno le teste dei chiodi
  • Fare il buco col trapano dentro ai triangoli, per agevolare l’entrata dei chiodi
  • Farne un altro di diametro inferiore ma più profondo
  • Piantare i chiodi (questi sono semplici chiodi di ferro zincati)
  • Ribattere i chiodi
  • Togliere i morsetti
  • Oliare con olio di lino cotto

Una passeggiata…

Igel

Da casa mi fanno sapere che il gioco del toka, di cui vi avevo raccontato in precedenza http://acquastanca.eu/2019/03/18/toka/ assomiglia molto al “gioco della rana”.

Un po’ più complesso, consiste sempre nel lanciare dischi di metallo, ma anziché contro una barra, centrando i buchi difesi da vari ostacoli. Ovviamente centrare la rana dà più punti di tutti.

A quanto pare lo conoscono anche in Spagna, ma nella mia rapida indagine online ho letto che forse è di origine inglese (ma se ne giocava uno simile nell’antico Egitto, perciò chissà). http://www.latanguilla.com/la-rana/

Mesquer

Ho un po’ di raffreddore, ma non potevo resistere a un’uscita a vela in un fine settimana di sole così!

Io e Eneko, con Manuel al timone

Ovviamente siamo stati avvistati perché belli-belli in modo assurdo [cit.]!

Stavolta abbiamo usato “Mesquer”, barca basca chiamata così perché costruita alla Skol ar Mor, a Mesquer appunto (Francia), per una sorta di gemellaggio con Albaola, che ne ha costruito la gemella, battezzata infatti “Pasaia”). http://www.skolarmor.fr/

A prua, Mike Newmeyer, professore alla Skol ar Mor. A poppa, Xabi Agote, fondatore di Albaola.

Piher

Oggi sono venuti a trovarci quelli della Piher, ditta produttrice di morsetti che sponsorizza la costruzione del San Juan con cinquemila euro di materiale all’anno per tre anni (abbiamo appena fatto il terzo ordine con grande gioia, perché com’è noto nel mondo dei costruttori di barche “non si possono mai avere troppi morsetti”).

Che ve ne frega a voi? Beh, abbiamo fatto una bella foto di gruppo!

Non male l’effetto “prima comunione” della fila davanti, eh?
Bonus track: non sapevo dell’esistenza di questa borsa, altrimenti gliene avrei chiesta una!

Bartzelona

Mi sono preso una settimanina di vacanza approfittando dei giorni in cui Albaola era chiusa per Pasqua e con Rita ci siamo incontrati a metà strada. Grazie al ritrovato Giorgio abbiamo anche avuto un posto dove stare senza dover contribuire alla piaga di AirB&B! http://acquastanca.eu/2019/04/11/giorgio/

Raccontare tutto per filo e per segno non ha molto segno, ma ci sono alcune cosette che volevo postare.

Innanzitutto il scontro culturale coi treni spagnoli. Le ferrovie qui hanno una rete notoriamente poco estesa (tra l’altro con scartamento diverso dal nostro: https://en.wikipedia.org/wiki/Iberian-gauge_railways) e ci sono pochissimi treni a lunga percorrenza. Io ho preso un ALVIA, che non è l’alta velocità AVE, ma piuttosto un nostro Intercity.

Tipo lui, che era sull’altro binario (dove sia il 5 non lo so)

Ciò che è stato sconvolgente non sono tanto le dimensioni microscopiche della stazione di Donostia (che non è mica piccola come città, in fin dei conti) o il fatto che in tutto il pomeriggio da lì sarebbero partiti solo tre treni “seri” (non del trasporto locale, insomma). Piuttosto il fatto che per salire sul treno c’è da fare il check-in.

Questa è la coda al “gate” del mio treno per tornare da Barcellona

Mezz’ora prima della partenza apre il “gate”, e devi presentarti con biglietto e documento d’identità (a Barcellona siamo pure passati dal metal-detector, perché è una stazione molto più grande). E anche se adesso anche in Italia in certe stazione ai binari puoi accedere solo mostrando il biglietto (v. Milano Centrale), questo metodo mi sembra un po’ delirante, perché ovviamente c’è sempre una coda infinita.

Lungo la strada, ho provato a fare una foto ogni mezz’ora, ma èm stato un mezzo fallimento: venivano tutte mosse e poi si è fatto buio (sono sei ore di treno da qui a lì).

Qualcosa è venuto fuori… di certo si vede che il paesaggio cambia parecchio, che era un po’ l’obiettivo di ‘sta cosa:

Ma una volta arrivato a Barcellona cosa ho visto?

La Twingo più bella del mondo
Il culo di una galea
La fabbrica del Duomo (non sono riuscito a scorgere la Madunina, però)
Due belle porte
Un altro Saul. Italiano. Il primo che incontro di persona in trent’anni

Due righe le merita la festa di Sant Jordi, patrono della città. Tradizionalmente gli uomini regalano una rosa alla propria amata e le donne un libro. Adesso per parità di genere si preferisce regalarsi entrambe le cose. https://www.barcelona.cat/ca/santjordi

Con questa scusa la città si trasforma in un enorme festival di letteratura: ci sono banchetti di libri usati ovunque e presentazioni di libri con gli autori. Ma anche le librerie della città hanno le loro bancarelle nel quartiere e inutile dire che ci siamo salassati.

Ci sono tutte le combinazioni possibile di draghi, draghetti, rose e cavalieri (inclusi i gender-swap ovviamente)

Potevamo andarcene senza vedere la Pasqualetto? Certo che no.

Sul tavolo, due vermut (che in Spagna va tanto) e una coca

Nevada

E niente, mi stavo leggendo la newsletter di Atlas Obscura https://www.atlasobscura.com/newsletters e ho scoperto che i ristoranti baschi negli Stati Uniti are a thing.

https://www.elkostarhotel.com/photo-gallery/

A quanto pare gli immigrati baschi, che si occupavano principalmente di pastorizia (occupazione poco ambita perché poco remunerata e senza necessità di conoscere bene l’inglese) passavano la stagione invernale “svernando” in questi hotel a gestione basca, che gli facevano anche da interpreti per le varie incombenze e permettevano a persone che facevano un mestiere molto solitario di socializzare con fellow expats.

Durante la seconda guerra mondiale la richiesta di lana aumentò, e per i pastori baschi era molto facile ottenere un visto per gli Stati Uniti, grazie agli stretti legami tra il senatore del Nevada Pat McCarran, fortemente anti-comunista, e il regime di Franco. Uno riceveva manodopera a basso costo, l’altro si liberava di poveracci che non ne volevano sapere di essere assimilati dallo stato centrale spagnolo.

La cucina ormai non ha più nulla a che vedere con quella di qui (anche perché, banalmente, non là c’è il mare). Però qualcosa rimane, per esempio un drink a base di amaro Picon, un tempo celebre nei Paesi Baschi di cui io qui non ho mai sentito parlare. https://en.wikipedia.org/wiki/Picon_(ap%C3%A9ritif)

https://www.atlasobscura.com/articles/basque-restaurants-nevada