Chi lo conosce sa che a Gilberto Penzo piace passare per misantropo. Forse non lo è davvero, forse è solo il suo sangue da pescatore chioggiotto, poco abituato alla socialità. O forse è l’età, che finalmente gli permette di dire quello che pensa in faccia alla gente. Fatto sta che non è difficile sentirlo rispondere scocciato a qualcuno appena entrato nella sua bottega.
Ora che l’ho rimesso coi piedi per terra però, una cosa gliela dobbiamo riconoscere: banalmente, il suo lavoro.
Senza quarant’anni di rilievi di barche, studi, modelli e pubblicazioni, chissà quanta conoscenza sulle imbarcazioni tradizionali venete e adriatiche sarebbe andata persa. Mentre negli anni novanta tutti erano a guardare la vetroresina, lui era coi piedi a mollo a visitare barche derelitte, affondate o demolite. A fotografarle, misurarle e disegnarle appena prima che sparissero nel fango, o venissero tagliate a pezzi.
Se a qualcuno, negli anni a venire, dovesse venire in mente di costruire un trabaccolo, lo potrà fare quasi unicamente con l’aiuto della sua ultima fatica: il libro sul trabaccolo, come quello sulla gondola e sul bragosso già pubblicati, contiene tutto lo scibile su questa straordinaria imbarcazione, i cui esemplari rimanenti si contano ormai sulle dita di una o forse due mani.
In questo libro in particolare c’è anche un po’ del mio aiuto, come modesto rilettore di bozze. Tutti gli errori, come si dice, sono quindi imputabili a me (e già so che me ne sono sfuggiti due, mannaggia).
In ogni caso, se oggi posso mettermi a costruire un sandolo completo di remi e forcole nei Paesi Baschi, è anche e soprattutto grazie ai libri di Gilberto. Ben venga quindi la sua misantropia, se gli ha permesso di proseguire imperterrito in un’impresa così titanica, mentre tanti gli andavano contro.