Viaggio della speranza accompagnato da Rita.
Per portare su più robe senza i problemi di peso che avrei avuto provando a imbarcare i miei attrezzi nella stiva di un aereo, abbiamo deciso di viaggiare via terra.
Il giorno più economico per viaggiare si è rivelato essere il 31 dicembre (il 25 dicembre a dire il vero sarebbe costato meno, ma saremmo stati entrambi diseredati).
Il tragitto più economico invece si è rivelato essere Milano p.ta Garibaldi – Paris Gare de Lyon in TGV (i sedili erano arancioni e viola, giuro. E per terra c’era la moquette. In treno. La moquette. E nei bagni non c’era il bidet. Francesi puzzoni).
Tappa a Parigi gentilmente ospiti del monolocale di Irene (lei non c’era ma non ci saremmo entrati in tre, effettivamente), giusto il tempo di trascinare avanti e indietro le valigie e partenza alla volta di San Sebastian-Donostia con un pullman Eurolines. Dieci ore di autobus, per guadagnare una notte. Il bambino che piangeva c’era, se ve lo stavate chiedendo.
Chi segue Rita su Instagram sarà al corrente del dramma pre-partenza: l’omino del pullman vede la mia carta d’identità elettronica (fatta nuova pagando quasi trenta euro apposta per non partire con quel foglietto sdrucito che è la carta d’identità italiana cartacea). Ci dice che non l’ha mai vista, ma che l’analogo documento francese non permette di viaggiare all’estero senza passaporto. Panico generale, ma abbastanza sicuri di essere cittadini europei decidiamo di accollarci il possibile casino alla frontiera. Al confine fanno salire un cane antidroga, che però doveva essere meglio informato riguardo i documenti italiani perché non mi ha detto niente. Deve anche aver detto una buona parola al poliziotto francese salito poco dopo che a malapena ha guardato la foto del documento, lasciandosi subito distrarre da un passaporto brasiliano della fila a fianco.